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L'appartenenza

L’animale è geneticamente “programmato” per riconoscersi tra simili, tra appartenenti allo stesso gruppo “genetico”, e l’uomo non fa eccezione. Ci riconosciamo come animali della stessa specie, e noi come uomini tra gli uomini. Ma ci riconosciamo anche come e tra gruppi più ristretti. Verticalmente ci riconosciamo come gruppi che si dividono tra chi ha la pelle di un determinato colore, come appartenenti alla stessa cultura, come appartenenti a alla stessa nazione, allo stesso villaggio, alla stessa famiglia, ma anche trasversalmente, come appartenenti alla stessa religione, allo stesso gruppo culturale o come amanti di un determinato tipo di musica, o anche semplicemente di amanti della stessa piazza, ecc. ecc. Insomma, siamo animali sociali che hanno bisogno di identificarsi in qualche gruppo di appartenenza che ci riconosca come membri.

E questa è una condizione che possiamo definire innata. E’ una necessità genetica, ed a determinati livelli è anche alla base della sopravvivenza e della stessa continuazione della specie. Se non fossimo così, molti animali, e quindi anche l’uomo, difficilmente, salvo rare e minoritarie eccezioni, se non riuscissimo più a soddisfare questa necessità animale, difficilmente sopravviveremmo come specie.

Il problema è che noi ci siamo lasciati trasportare e travolgere da questa necessita e dalle sue degenerazioni. Gli altri animali, al di la delle necessità biologiche primarie, sono generalmente in grado di limitarsi, e questa necessità si ferma nel riconoscersi come specie diverse. Riconoscimento che garantisce loro il giusto equilibrio di convivenza tra specie diverse e tra gruppi diverso dentro la stessa specie.

L’uomo no. L’uomo ha queste stesse necessità, ma a queste aggiunge, da sempre, aspetti culturali di appartenenza e di supremazia. Altre necessità culturali che gli hanno sempre creato solo problemi. Le divisioni ideologiche, quelle tra appartenenti a stati diversi, a gruppi e strati sociali diversi, ecc. E di queste divisioni, oltre a farne sfoggio e orgoglio di contrapposizione e di interesse, ne subiamo però anche tutti gli aspetti negativi. Aspetti che, collettivamente sono molto superiori ai benefici che ne trarremmo se non li esasperassimo come facciamo.

Fino a quando non inizieremo a mettere sotto la lente della nostra intelligenza questo aspetto deleterio dell’appartenenza, ne saremo sempre travolti. Se non inizieremo forme di educazione individuale che insegnino a gestire questo aspetto deleterio della necessità di appartenenza, se non impariamo a riconoscerne le parti deleterie, quelle che ci portano a considerarlo un valore superiore e non un vero e proprio problema, non potremmo mai sperare di liberarci da una serie infinita di contrapposizioni e di inutili guerre tra diversi. Spesso anche molto dolorose.

Le necessità animali sono ineliminabili, e quindi illumanisticamente dico che sono ineliminabili, ma sono anche gestibili. Serve imparare a mantenerle a livello animale, ma serve anche imparare a gestirle, ad elevarsi da quel livello “natura”, senza però cadere nella trappola della cultura di appartenenza e di differenza. E questo solo l’uomo è in grado sia di farlo, riconoscendolo e correggendolo. Quindi, appartenenza si, ma di un livello diverso, e forse migliore.

Per adesso l'umanità sembra aver iniziato, anche se molto lentamente, a camminare verso questa condizione, verso una forma di appartenenza diversa. Quanto tempo servirà per liberare l'uomo da forme di appartenenza che sono più gabbie che praterie, questo dipenderà solo da noi.

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