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Che senso ha?

Che senso ha la conservazione del vecchio e il rinunciare al nuovo?

Non so se la mente umana, nonostante l’innegabile istinto dell’uomo a conoscere, è pronta a recepire l’idea del nuovo come elemento positivo. Di certo dimostra di essere molto legata al vecchio, e in quello si sente sicura, protetta e vi si adagia pur sapendo che non è una propria conquista, ma che il vecchio è sempre un’eredità di qualcosa che altri hanno fatto prima di noi, e che facendola era, per loro, una cosa nuova, e come tale se la sono goduta nel momento in cui l’hanno costruita.

Perché, dal momento che dobbiamo morire, ci ostiniamo a lottare per conservare il vecchio costruito da altri, e contro l’innovazione? Perché combattere contro l’abbattimento di cose vecchie, stanche, spesso estranee, e rinunciare a sperimentare la stessa sensazione di piacere di chi ha creato quello che allora era nuovo, godendone?

Per assurdo, a che scopo preoccuparsi di lasciare alle future generazioni qualcosa che è già vecchio per noi? Che scopo può avere il preoccuparsi della terra, del modello sociale, se comunque abbiamo la consapevolezza di dover morire, ed essendo coscienti che morendo saremo costretti a lasciar qui solo cose vecchie. Perché non operare per essere ricordati per il coraggio di aver proposto e realizzato cose nuove, e nelle quali avremo magari messo anche una buona dose di intenzione, per far si che siano utili per chi resta; magari anche cose migliori di quelle che abbiamo trovato. Inoltre, sarebbe anche facile comprendere che da questo tipo di comportamento conservativo nessuna ha nulla da guadagnare, se non una illusoria pace, una quiete che, inevitabilmente, si trasforma in una vita vegetativa.

A volte, per far questo non servirebbe nemmeno fare chissà quale azione eclatante. Spesso basta anche solo il pensiero, la proposta di idee innovative, coraggiose; e se risulteranno invise ad altri, il piacere sia ancora maggiore, perché sarà la conferma che stiamo proponendo qualcosa di veramente diverso, di veramente nuovo e dirompente, in senso psicologico, per chi anche il solo pensare di cambiare crea squilibrio, appare come la messa in pericolo della propria “pace”. Ma anche il creare disequilibrio è un segnale, un modo per indurre a pensare. E il pensare, specialmente oggi, è già sovversivo.

Pensare, ma cosa? A cosa? Ognuno si faccia una propria idea di cosa vorrebbe proporre di nuovo. Ognuno proponga e viva un personale senso della vita, basta che la preveda come una battuta di caccia, come una costante ricerca di una nuova preda da scovare, conoscere, catturare, vivere e proporre. Il resto viene da se, perché il proporre è già una forma di stimolo. Il viverlo diventa anche un esempio, e quello sarebbe il massimo, ma non tutti sono capaci di tradurre in azione persino il proprio pensiero. Quindi, in chiave illumanista, tutti possono, e dovrebbero, portare e proporre quanto più nuovo possibile, e abbandonare quanto più possibile il vecchio; in ogni ambito.

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