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L’egoismo formativo

Indubbiamente il far crescere i propri figli nel modo ritenuto il “migliore possibile” è stato ritenuto, da tutti, un diritto/dovere. Nei secoli però questo è stato sempre interpretato come qualcosa che includeva, oltre alla preparazione dei giovani per metterli in grado di sopravvivere e procurarsi almeno il minio indispensabile per vivere, per sapersi difendere dalle insidie dalla vita, anche il diritto a trasmettere loro la propria cultura, le proprie convinzioni sul senso della vita, le proprie illusioni sulla morte e ogni altra convinzione sul bene e sul male, sul giusto e sullo sbagliato, sul tipo di rapporto che devono o non devono tenere nel contesto sociale e nel rapporto con gli altri, e su ogni altra regola che la consuetudine imponeva in funzione, soprattutto, di ciò che serviva alla società. A ogni figlio che avesse la sventura di nascere in qualsiasi angolo di questa nostra pallina sperduta nell'universo è sempre stato trasmesso/imposto questo o quel modello basato sulle convinzioni e su ciò che sarebbe servito alla società di riferimento, e mai è stato concesso il minimo di libertà a diventare ciò che ogni figlio era in realtà.

Naturalmente il tutto è stato sempre visto come positivo e, essendo utile al livellamento sociale, è stato anche normato e trasformato in dovere istituzionale. Oggi, che sappiamo non essere vero il concetto di centralità e di certezza culturale che ci ha caratterizzato per millenni, è forse giunto il momento di iniziare almeno a discutere sulla possibilità di rivedere proprio quei modelli formativi e quella concezione di diritto/dovere che inizia a diventare anacronistico.

Infatti sarebbe necessario iniziare a prendere atto che questo comportamento è stato il più grande atto di egoismo, nei confronti dei nostri figli e dei figli dell’intera umanità, che l’uomo abbia potuto commettere. Necessita quindi riformulare in chiave illumanista il concetto di formazione e preparazione alla vita.

Solo cambiando il concetto di formazione, di preparazione alla crescita e al vivere sociale si può sperare in una inversione di tendenza da un modello sociale orientato esclusivamente alla trasmissione delle convinzioni dei padri verso i figli in favore di quello del riconoscimento del valore dell’individualità e della soggettività come valore. Per farlo serve riorientare la formazione in favore di questi valori a discapito di quello dell’egoismo perpetrato con l’abuso chiamato diritto dei padri e delle madri sui figli.

Naturalmente ogni processo di cambiamento richiede tempi e processi intermedi che, inevitabilmente, lo trasformeranno in un percorso che, per certi versi, sarà anche lungo e doloroso. Infatti anche il solo presentare un’idea di questo tipo per molti diventa, ancora oggi, un momento di “dolore”, di perdita di identità e di ruolo che porta istintivamente a rifiutare anche solo l’idea di poterne discutere. Per questo credo sia opportuno non proporre modelli alternativi preconfezionati , ma riterrei più proficuo iniziare dalla sollecitazione della presa di coscienza dei danni che ognuno di noi, continuando a rifarsi a quei vecchi modelli di inquadramento culturale, e continuando a spacciare per diritto un atto di egoismo, causa ai propri figli.

Giusto? Sbagliato? Difficile dirlo. Solo il tempo ci darà la risposta.

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