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L’estetica

In filosofia il temine #estetica è sicuramente quello che meno di ogni altro è riuscito a trovare una sua collocazione.

L’estetica ha talmente tante sfaccettature che in termini concreti non è mai stato possibile codificarla; e non è nemmeno codificabile, e più spesso, al pari della teologia, è stata declinata più in funzione di necessità giustificative di atteggiamenti incompresi che in base a precisi assunti filosofici.

Taterkiewicz vi ha dedicato una vita filosofica, arrivando quasi a negare che il termine avesse una sua storia; dal momento che talmente tante e diverse erano e restano sia le accezioni utilizzate e utilizzabili, che le posizioni intorno a questo termine, che persino il filologia storica finisce per diventare impossibile da definire. Anche Baumgarten, Kant e persino Hegel si sono cimentati in questo tentativo di definirne i confini, ma con il risultato di aggiungere solo pensiero al pensiero, e non certo definizioni più convincenti di altre.

Può avere una sua estetica un discorso, ma anche un’intuizione, una esposizione scientifica o più semplicemente un oggetti, sia esso naturale che artificiale. Ogni aspetto della nostra esistenza può contenere una sua parte esteticamente definibile, ma nessuno di questi può essere definibile se non attraverso l’unico ente in grado di farlo, la soggettività che interpreta; sia in positivo (bello, gradevole, armonico, chiaro e facilmente definibile ecc.), che in negativo (brutto, sgradevole, caotico, indefinibile ecc.)

Tutto ha una sua estetica, e individuale e unico è il metro utilizzabile per “definirla”. Ogni tentativo di collettivizzarne i canoni non può che naufragare di fronte all'unicità di giudizio possibile. Anche ogni condivisione sociale di alcuni canoni culturali finiscono per rivelarsi goffe forzature, e destinati a naufragare al primo confronto.

Una cosa però è collettiva e ben definibile: la necessità di ognuno di formulare un personale giudizio estetico intorno al fuori di se. Ogni uomo sente la necessità di darsi una definizione estetica delle cose e delle esperienze nel mondo. Questo “istinto” non ha nessuna base materiale, e nessuna materia dimostra di avere canoni di giudizio di tipo estetico. La materia si esprime attraverso necessità e mai attraverso canoni astratti. La materia non fa “arte” e non esprime giudizi. La materi o è arte o non lo è. Se io guardo la mia mano la giudico, la definisco, mentre lei non fa altrettanto con il mio volto. Solo nell’intimo di ogni uomo si esprimono e si concludono giudizi astratti di valutazione che possono definirsi estetici; ed anche le condivisioni di quei giudizi lasciano invariata quella posizione. Anche all’interno delle condivisioni culturali collettive il giudizio individuale resta sempre invariato, e ogni negazione di questo è quasi sempre una maschera di adattamento sociale.

Illumanisticamente possiamo quindi affermare che l’estetica, al di la di ogni tentativo filosofico di definizione, è più la consacrazione dell’unicità di ogni individuo, e la sua rappresentazione nel mondo è del mondo avviene sempre in proporzione alla sensibilità ed alla capacità astrattiva individuale. L'estetica, assieme alla curiosità, all'estrazione, alle metaforizzazione, al bisogno di confronto e di giudizio sono i pilastri nel senso della vita, e più li utilizziamo come metodo di indagine e di valutazione del/nel mondo, maggiore è la nostra capacità di astrattizzare le nostre esperienze e di trasferirle alla nostra interiorità. Ed essendo questa un'esclusiva dell’uomo, quando, come nel nostro periodo storico, queste necessità finiscono compressa, silenziate dentro altri canoni, come l'efficienza, l’utilità, l’economicità, il merito, prima o poi quel bisogno inizierà a spingere per cercare di riconquistarsi la scena. Ma prima di riuscire a “riemergere” sarà causa di molti frustrazioni e di molte alienazioni sull’altare di valori incoerenti con quello che siamo e di ciò di cui abbiamo bisogno.

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