top of page

Homo

La scienza non dovrebbe parlare di uomo, almeno fino a quando non assumerà come strumento di indagine anche un modello in grado di indagare le peculiarità che consentono di definire quando un animale diventa uomo.

Infatti, per evitare di aggiungere confusione a confusione, utilizzando quel termine per definire sia la parte fisica, animale, che quella che, per comodo descrittivo possiamo chiamare mente superiore, quella dei valori, dei significati, delle elaborazioni esistenziali ecc., la scienza dovrebbe usare il termine uomo solo quando si riferisce a ciò che di quell’animale si distacca, si eleva dalla sua parte fisica: cioè le qualità superiori della mente. Le uniche atte a conferire quella qualifica. Si è uomini perché in grado di elevarci dalla nostra parte materiale, animale, e di assumere qualità di carattere astratto, capacità indisponibili in ogni altra parte della materia conosciuta. Un uomo che sa spaccare la legna è e resta un animale che sa spaccare la legna. Un uomo che assegna a questo un significato o un qualche valore etico e morale, quello, e solo quello dovrebbe poter essere definita: la parte umana di questo animale.

E per evitare confusione, redigere un elenco di tali qualità sarebbe la prima cosa da fare. Identificarle linguisticamente e qualitativamente, separandole dalla restante parte fisica che, pare, e nessuna spiegazione diversa sembra essere riuscita a confutarlo, funga più da mezzo che da fonte. Almeno fino a dimostrazione diversa.

Senza entrare troppo nel tecnico, e volendo restare alla terminologia, la scienza anche attraverso le neonate neuroscienze e la psicologia si occupa ancora quasi esclusivamente del quando e perché quell’animale ha iniziato a manifestare capacità più complesse, e grazie a queste ha ampliato le dimensioni e il volume del proprio cervello; o viceversa. Di conseguenza, anche gli studi sul cervello si basano quasi esclusivamente sugli unici dati ad oggi disponibili per identificare le specie animali appartenerti alla nostra linea evolutiva, e questo sono ancora solo dati relativi alle dimensioni e al peso del cervello, e ad altri parametri quasi esclusivamente fisici. Niente sappiamo di come e quando e perché siano iniziate a manifestarsi capacità astratte in grado di cambiare radicalmente l’esistenza di quegli animali, trasformandoli in “uomini”, cioè dotati di capacità astratte e coscienti. E soprattutto non sappiamo il perché, e le ipotesi restano tutte da indagare e dimostrare.

Uomini lo siamo diventati sicuramente in un determinato momento di quella linea, e lo siamo diventati grazie alla capacità del cervello di poter esprimerne qualcosa che esula da quel processo meccanico progressivo. Capacità in grado di mettere a disposizione del mondo nuove e diverse qualità astratte come i valori, i significati, le prospettive esistenziali, le necessità psicologiche di tipo valoriale come etica e morale. Solo quando quell’animale ha iniziato a guardare il mondo con l’interesse a conoscerlo e capirlo, e per farlo ha iniziato ad assegnargli valori e significati, solo allora sono apparse quelle qualità definibili umane. Quindi, quando la scienza parla di quelle di Homo, solo in quel caso dovrebbe utilizzare quel termine. Per tutto il resto, o utilizziamo il termine animale, o ce ne inventiamo uno nuovo. Quindi, l’obiettivo è quello di passare almeno ad un dualismo terminologico più chiaro. Già sarebbe un bel passo avanti verso una scienza più “precisa”, e terminologicamente più comprensibile.

Scienzenotizie.it: L'antico Ominide Sahelanthropur tchadensis

bottom of page