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Sfide difficili per tempi difficili

In molti hanno sentito la necessità di intervenire pubblicamente commentando, con scritti, saggi, libri ecc. (tra i quali il libro “fratelli tutti” di cui al link in calce), l’enciclica del Papa sulla fratellanza universale. Naturalmente, ognuno ha espresso la propria idea partendo dalla propria posizione culturale. Quasi tutti, salvo la parte cattolica, che non fosse altro per spirito di parte ha condiviso sia nel metodo che nel merito quello scritto, si dichiarano favorevoli nel farlo, ma non condividendo di farlo partendo prevalentemente dai presupposti religiosi, e nello specifico da quelli cattolici. Come detto, in molti hanno raccolto l’invito, e non è dato sapere se lo abbiano fatto per convinzione culturale di avanzamento, o per sentito dovere di rispetto verso la fonte. Una cosa però e molto diffusa nei commenti e nelle riflessioni: quasi tutti parlano di fratellanza di tipo collettivo. Rapporti tra religioni, tra popoli, tra comunità ecc., e pochi, forse troppo pochi si avvicinano al tema partendo da una ricerca soggettiva, e quasi mai partendo dall’uomo in quanto tale.

Illumanisticamente mi chiediamo pero: che senso ha parlare di fratellanza riferendosi a intere comunità senza partire prima di tutto dal concetto di fratellanza tra singoli? E questa lacuna si riflette in particolare sulla necessità di mettere a fuoco prima di tutto in base a quale sensi della vita ognuno dovrebbe e potrebbe vedere la fratellanza per l’altro, e solo per conseguenza tra le comunità.

Nel merito questo è comprensibile da parte del proponente e delle comunità religiose. Queste hanno il loro preciso riferimento, e non hanno certo necessità di farlo conoscere. Per la parte non religiosa invece, non essendo possibile allinearsi senza qualche dubbio a quella posizione di parte, e non avendo la più pallida idea di come ricondurre all’uomo tale concetto, molti hanno pensato bene di rispondere con il più classico dei sistemi: definendo utopia ogni posizione diversa da quella materialista, atea, e soccombendo così a ciò che non sanno fare: proporre qualcosa di veramente nuovo in tema di fratellanza partendo da un diverso paradigma esistenziale.

In ambito ateo, o comunque agnostico sono infatti bravi, bravissimi, dei veri professori del guardare indietro. Sanno tutto ciò che è già stato detto e scritto in passato in merito al concetto di fratellanza, ma appena guardano in avanti tutto ciò che vedono è la punta del loro naso, e tutto ciò che c'è oltre a quello per loro è utopia.

Non si rendono conto che tutto ciò che sanno è qualcosa che è già stato detto e fatto, e basta leggerlo per saperlo. E non si rendono conto che il futuro non è, non può e non deve essere in quello. Il futuro, il nuovo può essere solo qualcosa di veramente nuovo, e che può trovarsi solo in quella che loro, oggi, chiamano utopia.

Quindi, sono perfettamente condivisibili tutti i dubbi intorno alla base di partenza, cioè quando si vorrebbe intavolare una discussione ma partendo da un senso della vita già dato dalle religioni, ma come non dubitare anche di chi, dall'altra parte, esclude a priori ciò che ha già deciso essere utopia, e partendo dalla "certezza" che il termine utopia corrisponde immediatamente in qualcosa da non prendere nemmeno in considerazione?

Una discussione logica ha un senso se ha discusso sul senso di quella discussione, e partendo non da convinzioni precostituite, ma dalla ridiscussione prima di tutto dei suoi presupposti. Altrimenti non si va da nessuna parte. E’ ormai palese che quelli religiosi sono tutt’altro che questo, ma è anche altrettanto palese che tutto ciò che è stato detto e ridetto in ambito culturale è insufficiente. E’ ormai chiaro che quello che servirà sarà un senso che non sia già stato pensato e scritto, e che questo lo possiamo cercare solo dentro qualcosa di veramente nuovo. Quindi oggi lo possiamo cercare proprio solo dentro qualcosa di nuovo, ma questo non potrà mai avvenire se, a priori e con un fastidioso riduzionismo culturale, quel nuovo lo si liquida come utopia.

Quindi, anche per evitare di ripeterci addosso sempre le stesse parole e le stesse speranze puntualmente disattese, forse è solo ripartendo proprio dall'utopia che si può sperare in qualcosa di più. Le utopie contengono spesso delle parti realizzabili, e ciò che non è realizzabile serve da energia per andare oltre la staticità. Si tratta di trovare il coraggio di non scartarle tutte arbitrariamente, ma trovare il coraggio di analizzarle nel merito per cercare di individuarvi quelle parti realizzabili e che possono diventare, prima oggetto di discussione e magari riferimento culturale futuro; e maggiore sarà l'utopia, maggiore sarà la probabilità di trovarvi quella parte.

E anche se questa non è mai un'equazione perfetta, è quantomeno la più plausibile. Soprattutto se si vuole smettere di guardare solo indietro, smettere di partire sempre dagli stessi presupposti, le stesse chiusure, e si spera veramente di riuscire a fare un passo in avanti.

Ancora illuminismo in tempi difficili (micromega.net)

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