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La lontananza

Il fu Severino senza dubbio può essere preso a dimostrazione di quanto la mente umana può spingersi, oltre i limiti della sua concretezza, riuscendo a spaziare verso e oltre quelli che possiamo definire “i limiti” medi della nostra mente; almeno di quella della stragrande maggioranza di noi. Ma allo stesso tempo è anche la dimostrazione di quanto quelle capacità siano, purtroppo e per cause ben precise, lontane da qualsiasi possibile utilità per la parte che riguarda il contributo al formarsi di una qualche forma di paradigma esistenziale. Un tema e una necessità dentro la quale ogni uomo può e dovrebbe avventurarsi indipendentemente dalle capacità della propria mente. E diversamente da quanto pensano proprio molti “filosofi”, a questo dovrebbe servire la filosofia, specialmente quella più alta.

Invece siamo di fronte a due mondi, quello della filosofia e quello della necessita di una concretezza esistenziale, che difficilmente riusciranno mai a incontrarsi, se non cambieranno entrambi. Se non riusciranno, il primo a cambiare il proprio linguaggio, specialmente quello “alto”, quello che riesce ad avventurarsi verso nuovi e più alti concetti esistenziali, e il secondo a sviluppare di nuovo quel bisogno, la necessità di ricercarsi un senso della vita, abbandonando l’apatia della materia come unico riferimento esistenziale.

Prendiamo a esempio proprio Severino, che nella sua grandezza è anche la dimostrazione più palese di questa distanza. Un linguaggio che affronta temi che potrebbero essere stimolo e riferimento per nuovi approcci al senso della vita, ma espressi in modi e strutture linguistiche assolutamente inutilizzabili a quel fine. Severino ha affrontato temi molto profondi da un lato, portatori di concetti che potrebbero essere utili proprio a quel fine, ma lo diventeranno solo se riusciremo a tradurli, a ricondurli ad un linguaggio molto diverso. Nella forma utilizzata dal grande filosofo, anche se ha lasciato grandi concetti, questi sono assolutamente inutilizzabili in quella direzione. E ogni speranza che cambi il rapporto tra ciò che ha lasciato e la concretezza della vita è molto flebile, e tale resterà almeno fino a quando continueremo a evitare quel lavoro.

Naturalmente, gli addetti ai lavori considerano quel linguaggio l’unico utile, l'unico possibile per esprimere concetti cosi alti. Ma forse, anzi sicuramente si sbagliano. Anche concetti alti possono e dovrebbero avvicinarsi solo ad uno scopo: stimolare la nascita di sensi della vita, sentimento che ogni uomo dovrebbe e potrebbe "subire" come necessità personale, e non più come bisogno stimolato e soddisfatto grazie a Sensi elaborati e decisi da altri. La filosofia dovrebbe servire a questo: a stimolare quanti più uomini possibile verso quella personale ricerca, e il linguaggio non deve essere lontananza, ma un mezzo che avvicina e non allontana e divide.

In prima istanza l’Illumanesimo dovrebbe servire proprio a questo, a stimolare la necessità di linguaggi diversi con i quali iniziare una discussione su cosa serve veramente all’uomo.

Riporto un piccolo esempio del tipo di linguaggio utilizzato sia di Severino che da altri, tratto dalla prefazione al lavoro: ALL’ALBA DELL’ETERNITA’ – I primi 60 anni de “la struttura originaria” (edito da Giulio Goggi e Ines Testoni).

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Prefazione

di Giulio Goggi

…… La struttura originaria rimane ancora oggi, a detta di Severino, il terreno dove tutti i suoi scritti «ricevono il senso che è loro proprio» perché è in questo studio sull’essenza del fondamento che egli tenta per la prima volta di esprimere, nel modo più determinato e concreto, ciò che non è un semplice tentativo di stare, ma lo stare stesso della necessità.

Si tratta dell’apparire dell’esser sé dell’essente la cui struttura include l’autotoglimento della propria negazione. Il che non significa che la posizione del fondamento sia preclusa sino a che il sistema delle sue negazioni non si sia concretamente dispiegato – «Il fondamento, nel suo aprirsi, non implica (negativamente)una quantità della negazione ma la totalità di questa o, appunto, l’universalità di questa. Sì che l’esclusione della negazione è infinita e universale» - ma che senza la negazione della verità, e cioè senza l’errare, la verità non può essere negazione dell’errare, e che poiché la negazione del fondamento è il sistema delle negazioni del fondamento, quanto più concreto è il volto della negazione, tanto più concreto sarà il volto del fondamento. Il culmine teoretico de La struttura originaria sta nella tesi della non separabilità dell’essenza dall’esistenza e cioè nell’affermazione che tutto è eterno: «Risiede nel significato stesso dell’essere che l’essere abbia ad essere, sì che il principio di non contraddizione non esprime semplicemente l’identità dell’essenza con se medesima (o la sua differenza dalle altre essenze), ma l’identità dell’essenza e dell’esistenza (o l’alterità dell’essenza dall’inesistenza)», dal che si evince che il modo in cui storicamente si è presentato il principio di non contraddizione – come esprimente la necessità che l’essere di un determinato essente sia quando è, sicché vi sarebbe un tempo in cui l’essere non è - é essenzialmente contraddittorio. Poiché tutto è eterno, la verità dell’essere non è l’annientamento di alcunché, neppure della propria negazione, ma è l’apparire che il contenuto della propria negazione è “niente”. E la verità dell’essere nega la propria negazione nel senso che ne vede il tratto essenziale: l’essere quel non-niente che è la fede nella non nientità del niente. Quando, nei testi successivi, Severino si concentrerà sul tema del contrasto tra la verità dell’essere – lo stare incontrovertibile, il destino della necessità – e l’errare della fede isolante che separa le determinazioni dal loro essere, è pur sempre alle pagine de La struttura originaria che egli farà rinvio per l’approfondimento dei concetti di “contraddittorietà”, ”contraddizione”, “nulla” – esemplare, a tal riguardo, è il notissimo capitolo quarto che affronta, e magistralmente risolve, l’aporia derivante dalla circostanza per cui anche il “nulla” è positivamente significante.

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Come si può facilmente notare, indipendentemente dall’argomento in oggetto, un lavoro che potrebbe e dovrebbe servire a sottolineare, ma soprattutto a chiarire concetti che potrebbero essere filosoficamente utili ad un pubblico più ampio, e che potrebbero stimolare interrogativi esistenziali condivisi, finisce per utilizzare lo stesso linguaggio, le stesse formule, e finisce per aumentare la lontananza tra quei due mondi.

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