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Il “dono”

Se il Papa, col quale faccio sempre molta, ma molta fatica ad essere d’accordo, si affaccia alla finestra ( e già questa non è, per me, un gran cosa ) e, rivolgendosi ai migranti, afferma: “voi siete un dono, non un problema”. Un’affermazione che fatta in questo periodo, in un paese come l’Italia, risulterà molto difficile da “digerire”. Per me, una dichiarazione che mi costringe a dargli ragione. Questo ad un livello che lui, probabilmente, nemmeno sa esistere; o comunque, di cui non condivide l’esistenza. Almeno non in quei termini. ( ma questo è un altro problema ).

Ma torniamo al concetto espresso. Abbiamo attraversato un secolo, il 1900, con una velocità, e con una quantità di cambiamenti, che abbiamo fatto molta fatica anche solo a seguire. Infatti, molti di questi li abbiamo subiti, e molti ci sono perfino sfuggiti, e ne abbiamo subite solo le conseguenze.

Uno di questi cambiamenti è l’avvento di massa di molte “comodità”, e di un livello di conoscenza diffusa mai conosciuto prima. Con questo è sopraggiunto anche un alto livello di assuefazione a queste comodità, a questa “tranquillità” sociale, e tutto questo ad una velocità forse troppo elevata, e attraverso la quale abbiamo trasformato tutti questi aspetti in diritti, in presunti diritti dovutici. A causa di questo abbiamo finito però per smettere di confrontarci con le cose della vita, non riuscendo più ne a goderne a pieno, ne a farle diventare esperienza sulla quale meditare. In pratica abbiamo trasformato una possibilità positiva, quella del cambiamento, anche in positivo, in una negatività, assuefacendoci a questi cambiamenti con troppa velocità e indifferenza. Senza riuscire più a fermarci a meditare sulla nostra esperienze personali e collettive, abbiamo finito per subire tutto passivamente. Una vita che essendo diventata “troppo” comoda non ci stimola più a confrontarci con essa, ma soprattutto abbiamo finito per pretenderla, e pretenderla senza voler più fare nessuna fatica nemmeno per “giudicarla”; ognuno singolarmente e rispetto a se stesso, naturalmente.

Il concetto espresso dal Papa diventa così, nell’ottica di una vita che rischia di essere, e diventare, sempre più piatta, il/un “dono” . Un’occasione, per coscienze ormai appiattite sul vuoto. Un’occasione che, forse, ci costringerà ad una maggiore attenzione e partecipazione alla vita. Un richiamo ad una maggiore attenzione perché crea e creerà inevitabili contrasti e conflitti. Ma soprattutto perché, senza questi nuovi conflitti da affrontare e risolvere, il nostro vivere diventerebbe sempre più vuoto, pericolosamente sempre più amorfo, nichilista e privo di qualsiasi forma di meditazione attiva. Un “dono” prima che sia troppo tardi.

Capisco che, questo concetto, troppo illumanista rispetto al momento in cui viene espresso, sia molto difficile da condividere, e difficile da inserire nel giusto contesto e nella giusta prospettiva. Soprattutto c’è il rischio che possa essere scambiato per il solito, e banale “ tanto peggio tanto meglio” . Ma non è affatto così. I richiami a riconoscere le occasioni che la vita offre possono essere, possono diventare anche grandi occasioni di cambiamento, di richiamo alla ripresa di una forma di coscienza più vigile, e come tale anche in grado di evitare, evitarci conseguenze più faticose. Questo però, solo se e quando i cambiamenti,o anche solo i loro campanelli di allarme, venissero collocati nella giusta ottica. Certamente la fonte che ha espresso quel concetto non è ne la più qualificata a farlo, ne quella in grado di suggerire quel contesto. Però, una lettura diversa da quella potrebbe, e dovrebbe essere fatta e diventare una buona occasione per porsi almeno il problema.

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