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Sfatiamo un mito

La cultura spiritualista ha come fondamento l’esistenza di una “forza”, comunemente chiama spirito. Una orza che albergherebbe in una dimensione “parallela” a quella percepibile all'uomo, e in grado di entrare in contatto con noi. Tutto da verificare, naturalmente. Ma, fatta salva questa convinzione ( che può e deve restare assolutamente personale ), e senza voler entrare nel merito di una discussione su questo, non possiamo però evitarci di ammettere che l’idea comune che prevale è quella di attribuire a questa fora sopratutto, ma potremmo dire esclusivamente, la parte positiva dell’umana vicenda. Se qualcosa va bene ringraziamo queste figure, se abbiamo bisogno di conforto molti si rivolgono a loro, e anche le nostre preghiere, le nostre esortazioni per i nostri bisogni le indirizziamo a queste forze; almeno a quelle per noi più significative, convinti che queste siano sempre buone e ben disposte nei confronti delle nostre richieste.

Ma siamo proprio sicuri che, pur esistendo, siano veramente sempre buone e ben disposte verso le vicende umane? Siamo sicuri che siano sempre “buone” secondo i nostri canoni di bontà? Siamo proprio sicuri che essere buoni verso il nostro corpo sia di loro “interesse”? Non lo sappiamo assolutamente, cosi come non sappiamo se tutto il “male” che ci affligge sia solo colpa del nostro corpo (corpo inteso in senso molto ampio, menti e sentimenti compresi).

Certamente, la tendenza dell’uomo è, generalmente, quella di attribuire a quelle forze, a quella esistenza solo le parti “positive”, mentre quelle negative, tutti i mali che ci affliggono li attribuiamo esclusivamente all'uomo, alla sua parte fisica e animale. Questo però non mi pare ne giusto ne saggio.

Probabilmente, non dovremmo farcene un’idea legata esclusivamente alla parte positiva della realtà, specialmente quella umana, quella fisica, perché come potremmo escludere che molte delle vicende che gli uomini subiscono, vivono e definiscono male, sia nel privato che come collettività, non siano anch'esse, direttamente o indirettamente, legate a decisioni assunte da “quella parte”? Come potremmo escludere che persino l’astenersi di queste dal modificare in ciò che ci servirebbe come bene ciò che noi definiamo male non sia, per l’uomo, anch'essa un’azione voluta, determinatamente causata?

Capisco che un ragionamento come questo è, oggi, difficilmente proponibile, e considerato solo per se stesso può apparire persino banale, ma resta tale solo se non siamo in grado di collegarlo ad un altro aspetto molto importante della nostra esistenza: il paradigma esistenziale entro il quale ci muoviamo individualmente come uomini, e pubblicamente come soggetti sociali e come comunità. Modificato quel paradigma, sfatato un mito associandolo a posizioni meno fideistiche, più “logiche”, più ragionate, anche questo aspetto potrebbe assumere un valore molto diverso, e persino molto più utile rispetto alla qualità della vita di milioni di uomini. Una posizione illumanista molto forte che arriverà a discussione solo dopo un processo di alleggerimento di convinzioni ancora molte consolidate, ma in forte difficoltà per il nostro momento storico.

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