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Cultura contro

La filosofia andreiana, che è la base dell’Illumanesimo, ha come fondamento l’esperienza della materialità, che a sua volta si basa prevalentemente sulle fatto che l’uomo le esperienze le deve fare concretamente, le deve vivere in prima persona.

Dall’altra parte abbiamo la massima espressione umana, la cultura, che si fonda sul processo di avanzamento, che a sua volta si affida alla massima espressione di cui l’uomo dispone, e cioè il pensiero, che è anche la parte più astratta che il corpo sia in grado di esprimere.

Due ambiti assolutamente distanti al punto che, se si prende per buona quella filosofia ( e chi la conosce sa quanta logicità la sorregge) , e con lei il concetto di necessità di agire piuttosto che di teorizzare, e/o elevare a concetti astratti molti aspetti della nostra esistenza, se ne ricava un’amara conclusione: ciò di cui andiamo più fieri e ciò che più cerchiamo di difendere, la nostra cultura, le nostre “conoscenze” e le nostre elaborazioni più “alte” , non solo sono lontane dagli interessi rispetto al quel concetto esistenziale, a quel concetto del senso della vita, ma gli sono persino contrari.

In sostanza, ciò che l’uomo pensa di avere di più grande, di più prezioso al punto di doverlo difendere ad ogni costo, al punto di essere disposto anche a combattere e morire, è anche quanto di più lontano dagli interessi di quella filosofia.

Un problema non da poco sia rispetto alla possibilità di cambiamento, specialmente quello di tipo collettivo, ma con inevitabili e gravi riflessi in quelli individuali, sia rispetto a quello che qui chiamiamo Illumanesimo e la ricerca dei segnali che ne indichino, e ne misurino il processo. Perchè non basta la presenza di molti segnali di necessità di cambiare, ma sarà necessario anche iniziare a registrare momenti di messa in crisi del processo culturale. Ogni fessura, ogni spiraglio, ogni momenti di messa in crisi della cultura vale come e forse più di ogni altro segnale di necessità di cambiare.

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