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Sei troppo professore

Anche, ma forse soprattutto, per l’Illumanesimo, com’è accaduto per ogni nuovo ambito culturale, rispetto a quelle che vengono riconosciute come le massime espressioni di una determinata cultura, senza timore di smentita si può affermare: Sei troppo “professore” per poterne comprendere ed accettare le origini, ma anche le prospettive.

Questa affermazione, questa posizione nei confronti dell’intellighenzia di una società, di quella che viene riconosciuta come l’apice della cultura accademica, non è figlia da un preconcetto fine a se stesso, e non è nemmeno una posizione che tenda a porsi in contrapposizione con il mondo culturale, ma è una posizione di stimolo supportata però dalla consapevolezza che ogni ambito culturale, di ogni epoca, o si adegua alle posizioni medie del momento in cui si esprime, o ne viene escluso, o quantomeno ne resta emarginato. Un imprescindibile atteggiamento che, però, se portato all’estremo, come nel nostro periodo storico, diventa un problema sociale molto grande. Per questo, sono d'accordo con Massimo Cacciari, quanto incita gli intellettuali a uscire allo scoperto, a impegnarsi in modo più attivo e concreto di quanto abbiano fatto negli ultimi anni/decenni .

Da troppo tempo, questa necessità si è infranta con una realtà che ha portato i “professori”, gli intellettuali, e le loro strutture, anche le migliori, quelle più proiettate al cambiamento per il futuro, ad operare con una “ prudenza “ che è stata condizionata dalla “necessità” di non superare le “regole” del contesto accademico. Regole che impongono una prudenza di conservazione, e che non coincide più con le necessità sociali.

Spesso l’unica azione che riescono a mettere in campo è una più o meno blanda denuncia, semprre espressa a livello personale rispetto al conservatorismo, ignorando, e spesso escludendo a priori, anche quel poco di nuovo che si affaccia al loro mondo culturale e sociale. Anche quando vi sono singole posizioni personali che si muoveranno apparentemente con maggiore “temerarietà”, lo fanno sempre antro quei limiti, e senza mai riuscire, senza quasi mai trovare il coraggio di mettere in campo vere e proprie azioni concrete, vere e proprie “battaglie” culturali, in contrapposizione con il mondo a cui appartengono.Probabilmente, perché lo vedono ancora troppo forte.

Inoltre, anche loro, come per i loro colleghi più “prudenti”, vi è un altro aspetto molto condizionante: quello che potremmo definire dei presupposti, delle basi culturali d’origine. Questi, per la verità, sono anche più forti dei “motivi” di appartenenza, e solo a pochi, e coraggiosi eroi, è dato di metterli in discussione. Per questo, finisce sempre che quelli che dovrebbero essere i padri della cultura finiscono per esserne dei guardiani, dei semplici guardiani.

In questo senso, possiamo dire che la cultura è più vittima che causa dei cambiamenti, e con lei i suo rappresentati. Più sei riconosciuto professore, più vorrai essere riconosciuto come detentore di cultura. Più dimostrerai di essere detentore di cultura, più sarai e dimostrerai di essere vittima di questo meccanismo umano infernale, e non sarai protagonisti e promotore di ciò che servirebbe al sociale.

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