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Lottare insieme per essere vivi

Oggi, 15 Ottobre 2011, voglio pubblicare questa nota in onore dei partecipanti alle manifestazioni promosse in varie parte del mondo dai gruppi degli INDIGNADOS ai quali, pur nella loro caotica intenzione di reclamare diritti e valori che ancora non hanno ne completamente chiari ne condivisi, va il mio ringraziamento e la mia vicinanza perché meritano tutta l’attenzione ed il sostegno di chi ha a cuore il cambiamento.

Nota:

Che la lotta sia un forte motivo di aggregazione lo dimostrano le grandi conquiste portate dalle rivoluzioni, dai moti di ribellione di pochi che si sono trasformati in gradi movimenti perché molti vi si sono riconosciuti e hanno deciso di lottare assieme a loro.

Quanto si lotta assieme agli altri ci si sente più fratelli mentre quando si intende lottare da soli si finisce per separarsi, e anche se si trova la pace si perde il piacere dello stare insieme.

Quando si è in pace ci si ritrae dentro il proprio guscio e si è tentati di difenderlo, ma quando si lotta si sprigiona in noi la tensione della collettività, del piacere di lottare per gli interessi di tutti, e facendolo insieme agli altri ci si sente vivi.

Il fatto che ci scontriamo, perché la lotta è anche scontro, è un segno di vitalità, e quando lo facciamo insieme gli altri diventa uno stato piacevole, una forza che si manifesta con tutta la sua irruenza ma che riesce, pur nella tensione della contesa, a far sentire più attivi, più vivi, . Quando non ci scontriamo mostriamo il segno della morte perché è solo con l’attività che si mostra il segno dell’esistenza della mente, dello spirito, della vita.

I segnali che ci vengono dalla storia sono chiari, e dicono in modo inequivocabile che l'umanità, e in lei i singoli, si realizzano quando l’individuo può passare da una fase vegetativa, da una fase di calma, di pace, a quella del confronto/scontro. Di solito è un passaggio che intende portare verso un qualche obiettivo, che può essere di tipo diverso a seconda di chi lo promuove, ma che quasi sempre ha in se il segno classico della ricerca di un nuovo, e magari più avanzato, stato di agognata dignità e libertà. Libertà che, però, può essere definita positiva solo se non sfocia nell’anarchia, e che quindi dovrà necessariamente avere in se il concetto di individualità forte dei singoli che sappiano riconoscere e rispettare altri singoli. Questa condizione, perché possa contenere in se valori e limiti condivisi, dovrà e potrà essere realizzata solo se sapremo raggiungerla tutti insieme.

Un tipico esempio di insieme condiviso potrebbe, e dovrebbe, essere la famiglia; anche se nemmeno quella, attualmente, risponde a questi requisiti. Una famiglia dove ogni singola scelta individuale, che dovrebbe essere lasciata ai suoi singoli componenti, viene condivisa, accettata e realizzata con il concorso di tutti i partecipanti. Una famiglia dove tutti – fatto salvo il sacrosanto diritto/dovere di ognuno a non invadere il diritti di libertà altrui - dovrebbero condividere le scelte individuali, qualunque esse siano, e lottare insieme per realizzarle ( quanto siamo ancora lontani da questo!!!!!). Naturalmente può essere legittimo anche non condividerle, ma in questo caso, se questo rifiuto non fosse fortemente motivato da sconfinamenti e invasioni che limitino la libertà propria, sarebbe ragionevole chiedere a chi non la condivide di esimersi dall’ostacolarle in virtù del rispetto delle scelte individuali.

La società da realizzare non è che un modello allargato di questo tipo di famiglia. Se non si realizzeranno queste condizioni e questi obiettivi, che sia una famiglia o che sia una società, il risultato sarà sempre lo stesso: lo sfascio per ribellione dei singoli che si metteranno di nuovo insieme per tentare di realizzare ciò che manca per raggiungere quell’obiettivo.

Naturalmente siamo ancora lontanissimi da questo tipo di famiglia, e se siamo lontani da questo obiettivo all’interno di un piccolo gruppo come il nucleo famiglia figuriamo quanto possiamo esserne lontani in una società. Infatti se in una famiglia, trattandosi di un gruppo limitato, il processo sarebbe facilmente discutibile e agevolmente raggiungibili in tempi relativamente brevi ( basterebbe un minimo di preparazione seria in questa direzione), in una società la cosa diventa molto più complicata. Ma la complicazione non sta nel numero dei suoi componenti, i quali sono comunque e sempre singoli individui, ma perché lì il risultato sarà raggiungibile solo dopo un processo culturale che riesca a spostare la focalizzazione dell’interesse dal gruppo ristretto di appartenenza verso l’altro, verso un “altro da se” inteso in senso allargato, in senso sociale.

Dai partecipanti a queste manifestazioni, quindi, non mi attendo che lottino immediatamente per la costituzione di questo tipo di società, anche se questa deve essere l’utopia di fondo a cui tendere, ma che inizino a lottare, tutti, non solo per un cambiamento organizzativo della società ma anche “ per un cambiamento culturale che si rifaccia quanto più possibile alla crescita individuale e al suo riconoscimento come valore primario” .

So che, probabilmente, questa consapevolezza diventerà patrimonio di tutti solo con il tempo, cioè quando l’Illumanesimo sarà diventata “ LA CULTURA “ sociale condivisa e “ avremo trovato il passo per camminare assieme agli altri in una società che riconosca l’individualità reale come un valore condiviso e rispettato “, ma la necessità di trovare già nuovi valori chiari e condivisi, di raggiungere una presa di coscienza comune del nuovo significato del termine “ insieme “dovrà iniziare da subito, già da questo momento in cui sembra risvegliato da lungo sonno il patrimonio della lotta comune.

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