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In attesa di …

E’ legge dello stato la possibilità di fare il Biotestamento. Una legge partorita a fatica perché le resistenze del concetto cattolico sul diritto alla vita ad ogni costo hanno svolto, per molti anni, il loro onesto e sporco lavoro.

Da adesso qualcosa cambia, ma cambia in base ad un altro, e non certo meno “mentale” concetto, quello di una legge partorita grazie ad un diverso approccio “ideologico” alla vita, quello del diritto alla dignità del vivere. Non che questo secondo approccio sia sbagliato in assoluto, naturalmente - anche perché individualmente non esiste un concetto giusto e uno sbagliato rispetto alla vita, cioè nessuna impostazione individuale sul senso della vita dovrebbe poter essere considerato migliore o peggiore di quello di un altro -, ma perché al pari dell’altro anche questo concetto si fonda e si forma su un concetto della vita che non nasce da una riflessione individuale, ma da un atteggiamento sociale, molto diffuso, direi addirittura di moda, che finisce per portare le persone a “pensare”, quando pensano, che si abbia sempre e comunque il diritto a vivere con dignità, senza dolore e senza malattie, e quindi stando bene per diritto, oppure meglio non vivere.

Questo però è forse vero e giusto solo ritenendo la vita un diritto individuale come corpo - e questo è già tutto da dimostrare - ma è anche un segnale che porta a consolidare l’idea che la vita sia solo il corpo; e anche questo è tutto da dimostrare. Nessuno infatti si pone il problema se in campo vi sia, o quantomeno vi possa essere, un qualche altro “giocatore”, una più ampia parte di noi che avrebbe il diritto ad esprimere la propria opinione in merito prima di poter, anche se individualmente, decidere. Partendo dal principio che siamo solo il corpo, e che solo questo ha il diritto a farlo, si finisce per rischiare di decidere unilateralmente, cioè con la sola mente materiale, e questo diventerebbe un vero e proprio abuso verso una parte di se. Quindi il problema non è, e non dovrebbe essere, né sociale né culturale, ma assolutamente individuale.

Certo, oggi non vi è nessun’altra possibilità che quella corporea, mentale e culturale per decidere, ma questo solo perché non siamo capaci di interrogare quella nostra parte “muta”, e non perché non sarebbe possibile imparare a interrogarsi in modo più completo prima di prendere questo tipo di decisioni, ma solo perché non siamo abituati a farlo.

Come imparare a farlo è un discorso abbastanza lungo e per niente agevole da realizzare, naturalmente. Imparare a prendere decisioni di questo livello dovrebbe essere e restare un’interrogazione di tipo individuale, e mai qualcosa legato a pseudo morali collettive, ma per “imparare” a giungere a questo “livello” servirebbe un tipo di formazione individuale di ben altro stampo rispetto a quella disponibile oggi. Dopo questo periodo, solo dopo questo passaggio sarebbe più auspicabile la promulgazione di una legge che tratti quel diritto, e forse questa raggiungerebbe una maggiore rispondenza alle individuali “voglie o non voglie “ di vivere o morire, e di decidere di farlo o non farlo anche nelle condizioni meno favorevoli. Una legge che nascesse dopo questa formazione probabilmente riuscirebbe a tener conto di un più ampio raggio mentale dell’individuo.

Fino ad allora, in attesa di una “formazione” di tipo diverso intorno al senso della vita, va bene anche una legge che lasci liberi di scegliere mentalmente, ma applichiamola sapendo che quelle scelte non saranno tutte, anzi pochissime, saranno ispirate da una vera riflessione individuale libera e onesta intorno al senso della vita e al suo valore, ma saranno scelte legate a quel secondo principio di cui sopra fatto diventare un diritto arbitrario della mente.

Come avevo avuto già modo di dire, essendo la questione del fine vita una cosa di importanza abbastanza relativa, specialmente se consideriamo quanti errori e quante decisioni prendiamo con la mente e non con la totalità di noi stessi durante tutta la vita, questa finisce per diventare qualcosa di una tale ininfluenza sul percorso umano da essere liberi al punto di poter decidere di scrivere anche una legge sulla sua fine, ma da qui ad esultare ce ne dovrebbe correre. E’ comunque anche questo un segnale illumanista, anche se timidissimo, ma pur sempre qualcosa che indica una voglia di cambiamento.

Quindi se è anche giusto essere contenti, forse lo stiamo facendo in modo esagerato per qualcosa che non porta quei grandi vantaggi che si ritiene , ma si tratta solo di una fase di passaggio, di un piccolissimo passo di lato in una prospettiva di cambiamento illumanista che richiede passi ben più concreti e in avanti.

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