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La morale convenzionale

É nei momenti di crisi che si evidenzia di più la caduta di quella che viene comunemente riconosciuta, e condivisa, come “la morale convenzionale”. Infatti, è nei momenti storici di passaggio che maggiormente si evidenziano i superamenti di quelli che precedentemente erano “i confini” moralmente accettati, e accettabili, dell’agire dei singoli.

Anche il nostro è, ormai abbastanza chiaramente, uno di questi momenti storici. La crisi è ormai evidente, e con lei altrettanto evidenti sono i salti di quelli che fino a poco tempo fa venivano riconosciuti come i confini morali che non potevano essere superati. E nella media delle consuetudini sociali lo erano; pena lo sconfinamento nell’immoralità e nel giudizio sociale. Sentimento che, all’interno dei vecchi confini, aveva ancora un valore, anche individuale. Sentimento che era capace di auto-ricondurre nell’ambito “morale convenzionale” anche i singoli, senza necessità di censura e/o regolazione, anche legislativa, e che oltre quei confini ha perso la sua necessaria efficacia.

Quando questi comportamenti tendono a diventare abnormi è solo perché non c'è più il riconoscimento di quei confini. Con la perdita, con il superamento di questi limiti condivisi saltano anche tutti quei meccanismi psicologici capaci, da soli, di contenere i comportamenti a dei livelli collettivi accettabili. In questi momenti non è possibile intervenire con regolazioni artificiali dei comportamenti. Nessun richiamo morale e nessuna norma legislativa potrà essere in grado di ricondurre entro quei limiti.

La “soluzione”? La ridefinizione di nuovi, è più ampi, confini. É Allargando le possibilità individuali, e rivedendo i vecchi valori condivisi, che diventerà automatica anche la ridefinizione di nuovi, e indispensabili, “confini” .

Infatti, è attraverso i valori sociali, quelli riconosciuti e condivisi, che si ri-costituiscono anche nuovi “confini morali convenzionali” . Confini morali che tendono a coincidere con l’etica sociale, ma che sono, o almeno dovrebbero, il risultato delle singole moralità individuali, perché ognuno di noi è portatore di specificità, unicità e necessità assolute e impossibili da trasferire, e che finiscono inevitabilmente per diventare base comune entro la quale si forma l’etica sociale. Etica entro la quale l’uomo può, e deve, agire socialmente. Questo sarà, comunque e inevitabilmente, anche un regolatore di comportamenti privati, perché l’uomo ha l’in-capacità psicologica di agire con modalità regolate da due morali troppo diverse tra loro, e finirà per allineare la morale privata a quella “pubblica”. A livello individuale non è detto che questo sia un bene, ma nella realtà è cosi.

L’Illumanesimo, oggi, si limita a registrare questi aspetti sociali, e ne evidenzia l’esistenza. In futuro, credo che la filosofia illumanista potrà svolgere un ruolo più forte, e fungere da riferimento culturale, da indirizzo di fondo per la ri-definizione di quei confini. Essendo in grado di supportare questo momento con strumenti e argomentazioni forti e significative – per quanto oggi sconosciute - nel futuro potrà rivelarsi utile grazie alla sua capacità di apportare presupposti e riferimenti sui quali pantere i nuovi paletti convenzionali. Un paradigma che potrebbe risultare utilissimo per indicare almeno una traccia, un percorso comune, evitando sfasatura nel tessuto sociale, il quale, senza una traccia, rischia di disperdere quelle forze indispensabili a percorrere questo nuovo cammino.

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