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Il diritto di sovranità interiore

Ciascuno ha in sé il diritto alla sovranità sulla propria interiorità.

Un processo di riconoscimento, di riappropriazione di questa consapevolezza è il passaggio stimolato e proposto da quasi tutte le filosofie umana. Tutte ci dicono che nel momento in cui ci si impadronisce di se, ci si impadronisce di quella qualità che consente la riappropriazione della consapevolezza conoscitiva della propria unità, della propria singolarità, della propria irripetibilità, cioè la riappropriazione del proprio potenziale che avrà la possibilità di riavvicinarci a quello che viene chiamato il proprio spirito ritrovato, avremo ritrovato se stessi. Questo però, di solito, viene proposto all’interno di specifici percorsi preconfezionati e quindi sempre tendenzialmente guidati e controllati da altri e da ideologie che sono fuori dall’individuo – anche se chi decide di seguirle le dovesse condividerle -.

Sappiamo inoltre che noi stiamo parlando anche di un essere umano che soggiace al meccanismo biologico e al meccanismo sociale che fa dimenticare, immerso com’è in questo mare invasivo e potente del corpo, della cultura, della politica, della scienza, della tecnologia, dell’economia ecc. di essere anche un soggetto con un’interiorità personale che ha esigenze proprie ma che deve consentirci di tenerci anche in contatto con tutto questo marasma esterno. Sarebbe quindi sbagliato incamminarci in un sentire che tende ad estraniarci da tutto questo.

Sappiamo anche, ma forse non con la consapevolezza che meriterebbe, che ciò che ci viene proposto dalla società è qualcosa che proviene da una potentissima e organizzatissima macchina da guerra esterna che avrà, quindi, molte più probabilità di ricevere attenzione da noi di quanta ne potrà avere quel piccolo stimolo interiore che solo noi, e da soli, potremo e dovremo stimolare, curare e coccolare. Una buon aiuto a questo potrebbe e dovrebbe venire dalla pratica, dall’insegnamento, dall’abitudine alla presa di coscienza di questa condizione. Un buon allenamento a questo potrebbe e dovrebbe venire dalla formazione dell’individuo fin dai primi anni di vita. La famiglia e la scuola ne dovrebbero quindi essere i promotori e i gestori; ma qui siamo ancora nell’utopia.

Siamo nell’utopia perché viviamo prevalentemente in una comunità fatta di tutte quelle cose dette sopra e che si sono affermate ormai come verità andandosi a conformare, negli stati, come diritto alla sovranità nazionale e sociale spodestandoci dal diritto di sovranità della propria interiorità; e oggi siamo anche oltre avendoci espropriato anche della capacità di riconoscere la nostra interiorità come esistente.

Una cosa da fare, quindi, - e questa non sarebbe più utopia - è quella di riappropriarsi della consapevolezza di questo principio/diritto di sovranità sulla propria interiorità.

Così come gli stati e la società si sono appropriati del diritto di sovranità i soggetti si devono riappropriare del diritto di sovranità personale.

Non sto parlando di rivoluzione ma di un piccolo passettino verso se stessi che passi, per adesso, della riassunzione di consapevolezza della necessità di riaffermazione di un diritto legittimo di se stessi e verso se stessi, e che questo è possibile senza il bisogno di ricorrere a pratiche e percorsi spiritualistici astrusi e privi di concretezza e finalità dimostrabile ma attraverso concrete azioni sociale, educative e formative. Un percorso, quindi, che ristabilisca un giusto rapporto tra il soggetto e la realtà, il mondo, qualunque sia il mondo in cui si vive e qualunque sia il momento storico, culturale e umano in cui ci troviamo.

Il problema è la paura che questo percorso, questa prospettiva, susciterà in chi vi intravede la perdita di controllo sugli individui. Ma oggi siamo in un chiaro momento di cambiamento e sarebbe un peccato non tentare di inserire nel nuovo che si profila elementi di novità che vadano in questa direzione.

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