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La giustizia del dopo

L’applicazione della “giustizia” umana è una delle cose più difficili del mondo. A nessun uomo dovrebbe essere dato di poter giudicare un proprio simile, ma a tutti dovrebbe essere insegnato, fin da piccoli, a “valutare “ il prossimo rispetto a se stesso, limitando però tale valutazione al mero confronto. Questo significa che la valutazione delle azioni altrui, anche le più “negative”, andrebbero limitate sempre e solo cercando di stabilire, a livello personale, ciò che avremmo fatto noi se ci fossimo trovati in “quella condizione/situazione”, come avremmo reagito e valutato noi quel determinato contesto, quella determinata reazione, perché avremmo fatto nello stesso modo o in un modo diverso, ecc. ecc. Il tutto sempre e solo alla luce di quanto ci sarà dato di conoscere di chi ha commesso l’azione da valutare, e quindi senza giudicare l’altro ma se stessi. Questo sarebbe, credo, il miglior modo anche per convivere con maggiore serenità, e forse anche per trarre il maggior profitto possibile da ogni situazione che ci si presenta nel rapporto con gli altri.

Naturalmente in ambito sociale questo non è completamente possibile, e vivendo insieme agli altri in un contesto sociale servono le regole, chi cerca di farle rispettare e chi, in base a queste, giudica.

Questo porta inevitabilmente a due problemi:

- Il primo riguarda chi stabilisce quelle regole, che inevitabilmente sarà un uomo che ha le sue ideologie, le sue convinzioni morali ed etiche, le sue condizioni “culturali”, ecc.; e sarà portato a trasferirle tutte queste cose anche nelle leggi che andrà a fare. Purtroppo, chi sarà “costretto” a subire quelle leggi non è detto che sia in sintonia con quei principi, e quindi molti si trovano a dover subire le ideologie e le convinzioni altrui. Si potrà controbattere che questo è quanto si può fare oggi, cioè oggi si può solo applicare il concetto di maggioranza, e da questa far scaturire chi, a nome di questa, deciderà le leggi. La storia ci insegna però quanto questo, in questo settore, sia fallace e “disastroso” nel lungo periodo, e particolarmente in ambito legislativo.

- Il secondo riguarda chi quelle leggi è chiamato ad applicarle nel momento del giudizio. E anche questo passaggio non è, inevitabilmente, esente dai “problemi” di cui sopra.

Ambedue i passaggi sono quindi momenti di “debolezza” di un sistema che la convivenza tra gli uomini si trova a dover subire, e magari sarebbe utile lavorare un pò di più per cercare di migliorarlo.

Purtroppo, negli ultimi tempi, oltre a quei due delicati momenti, quello legislativo e quello giudiziario, se ne va aggiungendo sempre di più un terzo, ed è il problema dell’impostazione del giudizio. Impostazione che, come giusto, parte dai fatti, ma che si tende anche a spostare verso la valutazione del “dopo”, e di un dopo a scadenza sempre più breve, cioè si tende a spostare il giudizio in base a come il fatto viene percepito e, soprattutto, a come lo ha percepito chi l’ha commesso. Questo porta sempre di più a valutare se il reo si sia, in modo più o meno veloce, “pentito”, se abbia mostrato, anche solo a parole, di essere “costernato”, se ha “chiesto scusa”, ecc. ecc. Tutto a posteriori, quindi.

Poco, o troppo poco si va invece ad indagare il prima del fatto, quello che c’era prima, quali erano e sono state le condizioni, ma soprattutto le motivazioni, la volontà e la determinazione che vi erano a monte, e che sono state messe in atto prima di commettere il fatto. In pratica il grado di intenzionalità, volontà e motivazione che lo hanno preceduto. In questa direzione si fa e si cerca di fare troppo poco. Io credo invece che si potrebbe e dovrebbe fare molto di più; e sono convinto che questo metodo potrebbe portare ad una giustizia molto “più giusta”.

Capisco che oggi sembri, come molte idee illumaniste, un’utopia, ma forse è solo perché non ci siamo posti sufficientemente nella giusta direzione riguardo alla psicologia ed alla determinazione dei rei; unica eccezione che siamo stati in grado di inserire nell’ordinamento legislativo in questa direzione, ma anche questa a titolo valutativo postumo, sembra essere quello della recidività, e si è invece sempre cercato di indagare i fenomeni delittuosi in chiave postuma, cioè partendo più dai fatti che dagli uomini che li commettono. Giustissimo, naturalmente, ma troppo poco si è fatto, e troppo poco ci si è applicati nell'altra direzione; direzione nella quale, credo, molto si potrebbe migliorare.

Avere un’impostazione legislativa e giudiziaria più capace di rivolgersi un pò di più al prima sarebbe un buon passo in avanti ed un interessante segnale di Illumanesimo nascente, e probabilmente sarebbe anche un discreto segnale verso chi, specialmente oggi, chiede un giustizialismo esasperato o chi , dall’altra parte spera e conta sempre di più sul fatto che basti, a parole, chiedere scusa, dimostrarsi pentito, o dichiararsi anche solo un po’ addolorato per poter essere socialmente, ed a volte anche legislativamente assolto. Un atteggiamento più attento al prima sarebbe, da un punto di vista illumanista, invece molto più utile e giusto di ogni buonismo e di ogni giustizialismo indiscriminato.

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