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Lo sguardo all'indietro della giustizia

La giustizia umana ha due ruoli, uno è quella di "strumento", il secondo quello di “Principio”, un valore sia personale che collettivo che deriva da un principio molto più ampio che possiamo definire “ assoluto”: il Principio di giustizia che regola il principio stesso di realtà. Se nella vita dell’uomo la giustizia svolge solo il primo dei due ruoli e non anche il secondo, significa che l’uomo non vive, come non vive, nella giustizia ma nel giustizialismo.

Nel mondo non può realizzarsi, naturalmente, per intero il “principio” di giustizia, quello “alto”, quello del Principio, ma finché vi si utilizzerà la giustizia solo come strumento regolatore e non anche come strumento formatore non si avrà nemmeno la possibilità di fare un passo in avanti verso un momento in cui quel Principio di giustizia possa essere utilizzato almeno come modello di crescita.

Partendo da questo, e osservando il mondo che ci circonda possiamo, con buona probabilità di previsione, sostenere che il contesto siciale umano è destinato a restare ancora molto un luogo dove vige un sistema nel quale non sarà prevalente la giustizia ma solo il giustizialismo (naturalmente il tutto sempre proporzionato, e adeguatamente calibrato, ai diversi contesti sociali). Resterà cioè un mondo dove ci si continuerà a preoccupare di fare sempre più leggi, magari sempre più “giuste”, ma saranno sempre leggi da utilizzare per fare giustizia a posteriori, ed anche quando queste sono pensate per regolare il presente riusciranno ad essere applicate solo a posteriori rispetto a momenti in cui “l’ingiustizia” si sarà presentata.

L’attuale è, insomma, un sistema di convivenza che non contempla ancora il concetto di giustizia come “operatore formativo reale” da utilizzare a priori, cioè degno di essere introdotto in ambito formativo come principio e non solo come strumento. Finché non cambia questa impostazione culturale la società, nessuna società, ha ed avrà la possibilità di utilizzarlo utilmente.

Fin da quando l’uomo ha iniziato a sentire la necessità di introdurre principi di regolazione dei rapporti di convivenza attraverso la “giustizia” si è sempre preoccupato, e continua a preoccuparsi, prevalentemente di fare leggi. Cerca di farne di sempre più “efficaci”, si ingegna per migliorare quelle che già ci sono, ma poco o niente fa per trasferire il Principio di giustizia, quello “alto”, alle persone. Preferisce punire quando queste si sono macchiate di “disobbedienza”, quando hanno già trasgredito alle “regole”, sia esse comprese nella legislazione del momento che quelle di tipo culturale, etico o dogmatico che siano. Tutto senza preoccuparci più di tanto, salvo che in ambito dogmatico, dell’aspetto di “conoscenza” del Principio di giustizia di fondo. A volte si è delegato una parte di questo compito alle Religioni, le quali, presa però coscienza della loro inadeguatezza, avendo compreso che era più facile e redditizio utilizzare lo stesso sistema “a posteriori”, hanno preferito ricorre anche loro a leggi; che poi hanno chiamato dogmi, precetti, ecc. ecc., ma che altro non erano che sistemi che richiamavano il principio di monito e di punizione a posteriori.

In ambito sociale, anche a causa della complessità legislativa che in cui ci siamo cacciati, siamo arrivati all’assurdo di introdurre persino il concetto di “non ammissione di ignoranza delle legge in vigore”. Un ulteriore escamotage per evitarci l'onere di formare a quel Principio, e finendo per far si che il principio di fondo intorno alla giustizia sia potuto restare totalmente ignorato nel processo formativo; salvo naturalmente che come enunciato teorico, cosa in cui siamo bravissimi, e si è preferito continuare ad affidarci ad una foresta di leggi anziché alla parte formativa delle persone.

Naturalmente in campo legislativo si sono fatti molti passi in avanti e il sistema giustizia si è molto affinato, e molto si è fatto in campo formativo di chi deve giudicare in base alle leggi che abbiamo, cioè i giudici, e di chi deve “difendere” chi è chiamato a rispondere di presunte trasgressioni, ossia gli avvocati, ma sempre dando a tutti la possibilità di intervenire quasi esclusivamente con lo sguardo rivolto all’indietro, con lo sguardo rivolto al passato, cioè ad un momento che ormai non rientra più nel Principio di giustizia ma in quello di giudizio e di pena per un “dettame violato”. Oggi, che sia il sistema giustizia come strumento che quello etico-morale-dogmatico delle religioni iniziano ad entrare in crisi, stiamo assistendo ad un vero e proprio vuoto; e i momenti di vuoto in ambito di quel Principio sono molto pericolosi.

La giustizia, in chiave illumanista, dovrà invece cambiare la propria impostazione rivolgendo il proprio sguardo anche, ma vorrei dire prevalentemente in avanti. In avanti ripartendo, anche in questo settore, dalla revisione del sistema formativo; sistema che dovrà iniziare in età molto precoce e con una impostazione assolutamente diversa rispetto al proprio modello applicativo oggi basato quasi esclusivamente sul giudizio e sulla pena.

Qui, come noto a chi ha compreso lo spirito di questa pagina, cerchiamo solo segnali di necessità di cambiamento, ma ad oggi pochi, anzi quasi nessun segnale ci giunge da quel mondo. Da quel mondo, forse per povertà intellettuale, o scarsa capacità e impegno, nessun segnale sembra alzarsi . L’unico segnale che si riesce a percepire e quello di un crescente rigurgito di becero giustizialismo a buon mercato, giustizialismo che oltre a diventare sempre più concreto si sta trasformando addirittura in un “modello” da sbandierare come la soluzione di tutti i mali sociali.

Ma, come per il campo politico, anche qui vogliamo trovarvi un aspetto positivo - se vogliamo considerarlo tale - e lo si può leggere nella sua “utilità” ad accorciare i tempi dell’agonia sociale della disgregazione. Magra consolazione, naturalmente, ma questa sembra essere la condizione attuale.

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