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Il futuro

C'è una cosa in cui noi uomini, da sempre, ma in particolare nel nostro periodo storico e con particolare propensione del mondo occidentale, siamo diventati specialisti: nel dimostrare la nostra limitatezza e la nostra assoluta incapacità a progettare in modo “intelligente” il nostro futuro. Presi dal costante presente da vivere con la massima distrazione possibile niente e nessuno riesce a farci prestare la minima attenzione sulle conseguenze delle nostre scelte.

Naturalmente non esiste un modo che sia assolutamente certo, sicuro quando si parla degli effetti di decisioni, di ogni tipo, prese in un determinano momento storico, ma sicuramente basterebbe solo un po’ di attenzione in più nel valutare alcune prospettive e relative conseguenze delle decisioni che prendiamo, basterebbe, per esempio, prendere esempio dalle esperienze del passato non solo per non ripeterle nello specifico, ma per prendere l’esempio di quanto sarebbe stato facile evitarle, cioè capire, oggi, che sarebbe stato sufficiente, allora, guardare le decisioni che andavano prendendo e capirne la stupidità.

Facciamo qualche esempio. Il nazismo e i fascismi in Europa sono nati da insensate convinzioni intorno a ideologie assurde, strampalate, e palesemente impossibili da definire anche minimamente utili, che sarebbe bastata la più ingenua delle persone “normali”, se avesse avuto la “possibilità” di esprimere una pur minima opinione, per stabilire con quasi certezza che quei matti che le proponevano andavano fermati al più presto; pena tutto quello che poi è successo realmente. Invece milioni di persone hanno messo in soffitta la propria intelligenza e l’inevitabile, e prevedibilissimo, è diventato realtà. Quelle intelligenze in soffitta si sono ritrovate costrette, dopo decenni di sofferenze inenarrabili per milioni di persone, a doversi svegliare dal sonno del giusto e prendere le armi.

Un altro esempio è lo scellerato liberismo di fine secolo scorso, che continua ancora oggi. Anche questo, che ci è stato e continua ed essere presentato come l’unico sistema economico, finanziario, industriale e sociale utile, anzi il migliore possibile, ha fatti miliardi di proseliti dediti a inseguire un miraggio che niente aveva, e niente ha, di possibile prospettiva futura concreta e senza tragiche conseguenze; oggi se ne iniziano a vedere gli effetti, ma ancora troppi sono quelli che, come nel primo caso, hanno delegato la loro intelligenza ed hanno rinunciato ad esercitare il pur minimo senso di attenzione verso il proprio futuro e quello dei propri figli.

Oggi siamo di fronte ad una altro dei classici momenti di abbandono dell’intelligenza, ed è quello intorno alle migrazioni di massa incontrollate, cioè senza una minima capacità di previsione e gestione. Anche in questo caso assistiamo ad una totale incapacità programmatica, un’incapacità preoccupante perché manca del benché minimo progetto per il futuro di questi poveri disperati e per quello di chi li accoglie; e di nuovo assistiamo alla solita svendita dell’intelligenza programmatica per il futuro delle società.

Questa volta la nostra intelligenza la stiamo nascondendo dietro la comoda semplificazione del concetto di accoglienza e integrazione (?). Concetto che va bene, benissimo per i singoli ma che non ha più senso, e non basta più, quando i fenomeni si trasforma in fenomeno di massa, come quelli che si stanno verificando. Cioè i singoli possono e devono essere accolti con la massima delle disponibilità, specialmente e prima di tutto i più deboli, e con il massimo impegno possibile, ma quando i singoli diventano massa necessita una seria, ferrea organizzazione e programmazione dell futuro di tutti. Continuando ad affrontare la questione così come facciamo oggi, ignorandone le dimensioni e affrontandolo in maniera così scellerata come stiamo facendo, cioè come se tutte queste masse non avessero alle spalle una dimensione assolutamente ingestibile, e trattandola come se si trattasse solo di singoli individui, la “pena” che ci aspetta sarò, inevitabilmente, quella di dolorosissime conseguenze per tutti, sia per coloro che decidono, per mille motivi diversi e giusti di spostarsi per il mondo, sia per che li accoglie in modo così scellerato. E per questo loro, ma anche i nostri figli, avranno mille motivi per maledire la nostra superficialità.

Nonostante nel nostro tempo, e parlo degli ultimi ceto/centocinquanta anni, in occidente prima e in oriente poi, abbiamo dimostrato una notevole capacità di apportare progresso in molti ambiti, e molti di questi hanno portato anche notevole miglioramento nella qualità della vita, non siamo però ancora stati capaci di farlo in maniera uniforme, in modo da evitare scompensi prima economici e poi sociali, scompensi che, in larga misura, sono all’origine se non del fenomeno in se in senso lato almeno delle dimensioni di questo.

La capacità organizzativa e previsionale che abbiamo dimostrato di essere in grado di mettere in campo in progetti economici e industriali, non siamo ancora stati capaci di mutuarla in quelli sociali, e nessuno ha imparato a gestire anche questi ultimi in prospettiva sociale e individuale programmata. In questo settore tutto quello che è accaduto lo abbiamo sempre subito.

L’Illumanesimo dovrebbe essere anche questo: un tipo di società capace di limitare al massimo, se non di liberarsi del tutto, degli eventi subiti per incapacità e pigrizia previsionale, lasciando il posto a progettazioni sociali meglio gestite ripartendo dai singoli per passare per le comunità più piccole fino a quelle relative ai fenomeni collettivi.

Se si pensa poi che i responsabili primari del disastro a cui hanno portato queste incapacità cercano già, e cercheranno sempre di più, di far pagare i dolori più grandi ai poveri dei loro stessi contesti sociali, cercando di salvare con ogni mezzo i propri privilegi e il proprio benessere, capire che il problema prima o poi non potrà che scoppiarci in mano non è da super intelligenti ma da semplici e banali osservatori.

Imparare a organizzare il vivere in terra in modo meno aleatorio è uno dei passaggi che l’Illumanesimo può aiutare a realizzare.

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