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La corruzione e l'illusione

Dire corruzione, specialmente oggi, fa pensare subito, e quasi esclusivamente, all’aspetto economico, o comunque a qualche comportamento legato a qualche tipo di vantaggio da dispensare o da ricevere. È questo un processo mentale che scatta automaticamente nella mente della stragrande maggioranza delle persone. A pochi, o quasi nessuno, viene alla mente, quando sente questa parola, all'aspetto morale o etico della condizione individuale e sociale, e quindi quasi mai si pensa al significato del termine rispetto a ciò che una o più persone erano e ciò che sono diventate a causa di processi, di solito negativi, di “condizionamento” mentale e psicologico rispetto a ciò che una persona è, e rispetto al ruolo che svolge in un determinato contesto sociale, rispetto a come, perché e dove lo svolge.

Il mondo oggi sta assistendo, o sarebbe meglio dire che sta riassistendo, al triste fenomeno dello spostamento di milioni di individui, e al di la degli oggettivi motivi legati a guerre, a vessazioni politiche ecc. assistiamo anche ad un larghissimo fenomeno di migrazioni economiche.

Chiarisco subito che da un punto di vista illumanista, e anche rispetto al tema in questione, questa distinzione ha ben poco valore. Alcuni sostengono che il fenomeno dei migranti dovrebbe essere affrontato distinguendo in modo più chiaro i diritti dei primi da quelli dei secondi. Forse si potrebbe anche fare di più in questa direzione. Per farlo ci sarebbe bisogno però di molta più capacità d’indagine, conoscenza e certezza delle reali singole posizioni alla partenza, e in merito non sarebbe certo sufficiente una dichiarazione di parte per riuscire a stabilire il vero in modo “certo”, “giusto” e “corretto”.

Probabilmente di più di potrebbe però fare in termini che tengano in considerazione due aspetti: il primo è quello della “corruzione” attraverso la prospettiva dell'illusione di un presunto benessere di cui sono vittime molti di quelli che potrebbero essere definiti “ migranti economici”, e verso questi sarebbe necessaria prima di tutto un approccio di tipo psicologico rispetto alle motivazioni che li hanno spinti a cercare contesti sociali forse per loro troppo distanti in termini culturali, ma soprattutto credo sarebbe necessario un approccio psicologico rispetto al loro “dovere” come uomini, come cittadini del luogo di origine, come soggetti che poco o niente di positivo hanno da ricevere, in termini interiori, da contesti per loro cosi lontani in termini sociali, culturali ecc.

Possiamo infatti dire che questi si sono lasciati corrompere dal miraggio del benessere a buon mercato? del benessere tutto e subito, del “dovere” di accoglienza ad ogni costo, che sono vittime di una corruzione subdola della loro condizione, per quanto dura, di uomini nati in un determinato logo, destinati a vivere un determinato tipo di esperienza umana e deputati a contribuire per fare di quel luogo un determinato contesto sociale ed economico? Se questo è vero, e secondo me lo è, questo credo sarebbe, per loro, il primo dovere di uomini, e se questa corruzione, che da un lato è stata molto facile, data la debolezza dell’umana capacità a sopportare le difficoltà fisiche, è però anche alla base di un danno che col tempo sarebbe destinato a emergere creando in questi soggetti scompensi e disagi sociali (il disagio delle seconde generazioni di immigrati è li a dimostrarlo) molto pericolosi sia per loro che il nuovo contesto sociale che li avesse, illudendosi di un possibili loro repentino cambiamento, accolti con prospettive di pacifica convivenza.

Ogni aiuto alla deviazione da questo, ogni aiuto a definire per loro un diverso tipo di esistenza in luoghi e contesti sociali, culturali ed economici diversi da quelli di origine, ogni agevolazione a forzature di tutto questo significa concorrere a corrompere in loro il tipo di mentalità di cui dispongo, e che è il risultato antropologico di quel contesto e non di altri. Il tentativo di inserimento “forzato” in contesti diversi significherebbe allora svolgere un processo che potrebbe risultare, e probabilmente sarebbe, “violento”, per quanto richiesto in seguito a quel processo di corruzione psicologica di cui sopra, e quindi anche se apparentemente a fin di bene, nei confronti di chi non è attrezzato psicologicamente, culturalmente, e direi anche “geneticamente” per un tipo di società e di vita diverse, sarebbe comunque negativo. Infatti una vita che, per quanto meno dura, nel medio periodo non rispecchi le necessità intime dell’individuo, rischia, e tomo sarà, sempre una vita piena di insoddisfazioni, di disagio psicologico profondo, di disadattamento culturale e, probabilmente, non utile. Nessun denaro, nessuna agevolazione culturale sarà in grado di sopperire a tutto questo.

In termini illumanisti il dovere di ognuno è quello di svolgere la propria esistenza in funzione più del processo interiore che di quelle esteriore, e quindi ogni disagio intimo di tipo individuale assume un valore molto più preminente di qualsiasi altro tipo di problematica da risolvere in chiave sociale, religiosa, economica, politica o di altro tipo collettivo.

Prendere coscienza del rischio di contribuire a corrompere milioni di persone dalla loro condizione di essere umani, con diritti e doveri prima di tutto verso se stessi in termini intimi e immodificabili, che verso il contesto sociale di origine dovrebbe, ne sono profondamente convinto, essere preminente anche rispetto a quello della paura del diverso. Non fosse altro perché spesso quel diverso è anche migliore di noi, ma che riuscirà ad esprimersi per ciò che è solo se riuscirà a svolgere la sua vita, per quanto dura, e non sarà “costretto” a viverne una simile alla nostra.

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