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Un principio inalienabile

La storia dell’umana vicenda ci dimostra che l’uomo, dal suo primo esordio come elemento autocosciente fino ad oggi, ha effettuato un costante percorso di modificazione sia individuale che collettivo. Questo percorso si è sviluppato in modi molto diversi, sia per velocità che per “qualità”, nei diversi gruppi in cui l’umanità si e divisa. Infatti dall’originario ristretto gruppo, o gruppi primari, in cui è iniziata la storia dell’animale definibile uomo, quel percorso si è spesso diversificato dando vita a comunità sempre diverse, sempre più numerose, in molti casi anche molto slegate tra di loro.

Ognuna ha seguito il proprio percorso, ma tutti, indipendentemente gli uni dagli altri, sono stati soggetti a processi di modificazione; sia dei singoli che collettivi. Questi processi sono stati anche molto diversi tra loro, e se le singole motivazioni di questo processo di modificazione non ci interessano più di tanto ai fini di questo ragionamento, quello che interessa rilevare, e che risulta anche molto evidente, è la diversità dei risultati raggiunti dai diversi gruppi. Alcuni infatti sono andati più “avanti”, cioè si sono modificati in modo più marcato, altri si sono modificati in misura minore, e solo un numero molto limitato di individui - numero quasi insignificante a livello statistico - è rimasto ad un livello vicino a quello originale.

Naturalmente questo non vuol essere un modo per sostenere che chi si è modificato di più sia migliore, più sveglio o più intelligente di chi si è modificato di meno, perché questo processo di modificazione non ha un parametro di riferimento qualitativo, ma solo uno di tipo quantitativo; ma le differenze ci sono state e restano evidenti. Questo processo di modificazione, anche se in modi appunto diversi, ha quindi riguardato tutti i gruppi; tutti, in qualcosa, si sono modificati. Questa constatazione ci porta a poter sostenere che il processo di cambiamento è un processo comune a ogni individuo ed a ogni comunità a cui da vita. Se questo è vero, con la quasi certezza di non sbagliarci possiamo allora affermare che il cambiamento è definibile come un “principio” fondante dell’umanità in genere, e dei singoli che la compongono.

Chiunque abbia la pretesa o di interrompere, o di far regredire a livelli precedenti chi è ormai più “avanti” in questo processo, compie un abuso non solo contro quegli individui, ma contro il principio stesso dell’essere essere uomo. Quindi compie un delitto contro uno dei diritti umani primari: il diritto al cambiamento.

La comunità umana, in ossequio, ma anche a causa di quel principio, si è ormai molto diversificata, ma questo ha causato anche una forma di separazione, cioè si è strutturata in luoghi e modi ormai molti differenti. Differenti al punto da risultare socialmente ormai addirittura incompatibili tra di loro.

Questo significa che gli uomini, pur se nessuno dei gruppi a cui hanno dato vita sia definibile migliore o peggiore, non sono più tutti uguali, e non lo sono più non solo culturalmente ( cosa abbastanza banale in questo discorso ) ma non lo sono più “geneticamente”; ogni processo infatti ha trasformato i propri singoli in soggetti portatori di marcate peculiarità e differenze. Differenze figlie del proprio e specifico processo di trasformazione, sia mentale che fisico, e in grado di dar vita e condizionare le singole comunità di riferimento, le loro regole, ma soprattutto l’intimo essere dei suoi componenti.

Facciamo un esempio. Se un gruppo ha introiettato in se un proprio concetto/livello di giustizia ( ma l’esempio potrebbe essere fatto con i diritti della persona, il diritto di famiglia, la formazione l’etica sociale ecc. ecc. ), se lo ha strutturato, legiferato e applicato in un determinato modo ,questo significa che quel concetto gli è diventato patrimonio ormai imprescindibile e inalienabile ( se non dall’interno dello stesso gruppo – infatti sono possibili anche processi di involuzione intragruppo naturalmente ), è diventata cioè anche una “conquista”, e come tale nessuno, dall’esterno, ha il diritto di metterlo in pericolo e di poterne pretenderne la rinuncia in nome di “banali” ( rispetto a quel principio ) concetti culturali.

Ipotizziamo che un secondo gruppo, il quale non ha ancora raggiunto quello stesse livello di giustizia (o altro), per ragioni economiche, per ragioni culturali, per ragioni politiche ecc. si trovi a entrare in contatto/collisione col primo, questo secondo gruppo, e/o nessuno dei suoi componenti, può avere il diritto, magari in base a quelle pretese culturali, di pretendere di poter riportare il primo, la sua legislazione e la sua organizzazione ecc., verso principi, o anche solo ad accettare principi che gli sono ormai alle spalle.

Non ne ha il diritto perché nessuno può essere costretto a vivere in una società in cui i principi a cui è giunto siano aboliti o ricondotti a livelli da lui ormai superati, e di far questo in favore di altri livelli che lui ha ormai digerito e superato, e lo ha fatto proprio in virtù di quel principio primario di modificazione umana e sociale di cui sopra.

L’umanità va e deve andare avanti nei diversi contesti e nelle diverse condizioni, e nessuno può avere il diritto di pretendere un arretramento di nessuno; come nessuno deve poter impedire la libertà di poter anche rimanere indietro, naturalmente. ( in questo potremmo ricordare le scellerate azioni militari dell’occidente giustificate con la pretesa di portare la democrazia, il proprio modello di democrazia, in ambiti sociali assolutamente impreparati ad accoglierla).

Ognuno deve poter avere il diritto di svolgere in perfetta autonomia il proprio percorso di crescita umana e sociale, ma è proprio in virtù del principio in oggetto che i livelli raggiunti sono a loro volta la corrispondenza e l’aderenza a quel principio primario; principio che non può e non deve essere messo in discussione da nessuno, e nessuno può ne forzarlo ne bloccarlo dall’esterno, ne pretenderne il ritorno a stadi precedenti.

L’esempio più palese lo abbiamo in questo periodo storico, dove masse di persone si spostano da un continente all’altro per le ragioni più disparate e danno vita a inevitabili contrasti che si tende a definire culturali, contrasti che si cerca di smorzare con inusitati concetti come integrazione da una parte e richieste di rinunzia a principi ormai acquisiti dall’altra.

Questo non è e non può essere possibile proprio perché molte di queste persone sono, per esempio, portatrici di livelli di giustizia sociale, di rispetto della persona, di diritti di famiglia ecc. che rispondono a periodi molto precedenti a quelli dei gruppi in cui vanno ad inserirsi, e ogni loro pretesa di rispetto di quei livelli andrebbe a ledere proprio quel principio primario del diritto a modificarsi e viversi, anche a livello sociale, il livello raggiunto. Come però non è e non sarà possibile poter pretendere da questi il rispetto di principi che per loro sono ancora lontani e che sono sempre figli di lunghi processi di cambiamento sia individuali che collettivi: Il concetto di integrazione invece ha in se l’idea di adeguamento se non immediato almeno forzoso; e questo non è possibile al pari dell’esempio dell’esportazione della democrazia la dove non esiste la possibilità di accettazione culturale della stessa.

Questo diritto resta valido in ogni caso e in ogni momento storico, e quindi anche in un ipotetico futuro nel quale un gruppo più “avanzato” finisse per diventare minoranza sociale, nemmeno il concetto democratico della maggioranza dovrebbe poter avere il potere di pretendere un arretramento a condizioni, legislazioni e organizzazione sociale precedente a quella raggiunta: questo corrisponderebbe alla lesione di un diritto umano primario; diritto che dovrebbe prevalere anche su quello della democrazia.

Infatti, se ognuno ha il diritto/dovere a svolgere il proprio percorso all’interno del proprio contesto e con i propri tempi, altrettanto diritto ha colui che quel percorso ha già concluso, che è giunto ad un livello diverso, e niente e nessuno, in nome di nessuna banalità culturale, ha il diritto di poterne pretendere un arretramento e un riadattamento.

Questo, temo, diventerà un argomento di dibattito molto forte in futuro, e forse sarebbe il caso di precisarne, a livello internazionale, i confini, i diritti e i doveri di ognuno, e di farlo con molta chiarezza e onestà.

L’Illumanesimo si dovrà inserire a pieno titolo in questo dibattito partendo proprio dal suo fondamento che si basa sul concetto di rispetto delle posizioni individuali, qualunque esse siano.

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